La promozione della verità ambientale nel settore alimentare

di Gianluigi Serafini Membro Comitato Indirizzo Strategico

Il greenwashing o “ambientalismo di facciata” rappresenta ad oggi un fenomeno assai diffuso in numerosi settori, tra cui quello alimentare.

In una realtà caratterizzata da crisi ambientali, carenza di risorse naturali, inquinamento e fenomeni atmosferici estremi, il tema della sostenibilità e della tutela dell’ambiente sta acquistando per il consumatore un’importanza sempre maggiore, tanto da stravolgere le scelte di acquisto di determinati prodotti.

Facendo leva su questa crescente sensibilità, gli operatori economici hanno iniziato a ricorrere a pratiche commerciali e di marketing ingannevoli, finalizzate a mostrare ai consumatori un’immagine di aziende impegnate nell’utilizzo di pratiche ecologiche e rispettose della sostenibilità ambientale, più di quanto non lo siano in realtà. A titolo esemplificativo, certe aziende, con l’esplicito intento di aumentare, scorrettamente, le vendite, influenzano le scelte dei consumatori nel processo di acquisto, mettendo in modo ingiustificato o inaccurato l’accento sul ricorso a pratiche quali, l’adozione di determinati metodi di allevamento a favore del benessere animale, tecniche agricole che promettono il risparmio idrico e l’utilizzo di energie pulite e rinnovabili, nonché una limitata quantità di plastica negli imballaggi e confezionamenti.

Questa pratica si manifesta, infatti, attraverso i cosiddetti green claim, ossia autodichiarazioni riguardanti gli aspetti eco-friendly e l’impatto ambientale del prodotto e del produttore che, sempre più di frequente, le aziende inseriscono direttamente nelle etichette. Diciture comuni sono “bio”, “eco”, “sostenibile”, o “realizzato con bottiglie di plastica riciclata”, “rispettoso degli oceani”, “a basso impatto climatico”, o “consegna con compensazione di CO2”.

Un esempio di condotte configuranti greenwashing è dato da alcuni dei grandi colossi del mondo alimentare e del fast food, che sempre più spesso vengono accusati di fare ricorso a questa pratica, per aver trasmesso volontariamente ai consumatori informazioni false e fuorvianti, in merito alle proprie asserite attività sostenibili.

Dal punto di vista normativo, il legislatore europeo è intervenuto nel settore alimentare con il Regolamento UE n. 1169/2011 al fine di disciplinare i principi guida e la tipologia di informazioni che gli operatori economici devono adottare con riferimento agli alimenti commercializzati.

In particolare, l’articolo 7 del predetto Regolamento individua i principi volti a fare sì che le pratiche di informazione (ivi inclusi marketing, pubblicità e presentazione degli alimenti) possano definirsi “leali”. Tali informazioni devono, infatti, essere chiare e comprensibili e costituire un supporto per il consumatore per effettuare consapevoli scelte sostenibili, nel rispetto dei principi di trasparenza e veridicità nelle comunicazioni aziendali.

Lo scopo di detta regolamentazione è proprio quello di proibire l’utilizzo di informazioni idonee a indurre in errore il consumatore, circa le caratteristiche dell’alimento, la composizione, l’origine, i suoi effetti o le sue proprietà e le modalità di produzione dello stesso.

Pertanto, la violazione del Regolamento n. 1169/2011 – e, più in particolare, dell’articolo 7 dello stesso – da parte di aziende che pongono in essere pratiche commerciali scorrette e ingannevoli volte a deviare le scelte di acquisto dei consumatori, configura il fenomeno principale del greenwashing nel settore alimentare.

Tali condotte risultano poi sanzionate, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs 231/2017 che, in via generale, prevede che salvo che il fatto costituisca reato, ovvero che sia già specificamente sanzionato da altre disposizioni del predetto decreto, la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011 comporta per l’operatore del settore alimentare l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da Euro 3.000 a Euro 24.000.

In sintesi, dunque, i green claim, i marchi green e le varie operazioni di green marketing, connessi all’etichettatura dei prodotti alimentari, possono indubbiamente costituire validi strumenti, cui le aziende e i produttori possono fare ricorso al fine di sponsorizzare e promuovere tanto i propri prodotti, quanto le proprie attività sostenibili, ma ad un’unica condizione: che tali affermazioni risultino veritiere, trasparenti e corrette.

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